Lavoro

L’Angg spiega la situazione delle guardie giurate in Italia

NAPOLI. L’Associazione nazionale guardie particolari giurate illustra il sistema della vigilanza privata in Italia.

Il lavoro delle guardie giurate

I servizi aumentano e il mercato si allarga. Business della paura? Non solo. Lo dicono i fatti. Le guardie giurate controllano porti, aeroporti, metropolitane, musei, Sert. Tutti i soldi che fisicamente si muovono in Italia, dai rifornimenti per le banche alla distribuzione delle pensioni alle poste, viaggiano sui loro furgoni blindati, senza scorta delle forze dell’ordine. Le ronde notturne, prima che arrivasse le Lega, erano già il loro lavoro. Uomini che di notte, soli in macchina, pattugliano case, aziende, capannoni, banche e periferie delle città. Lo fanno nell’Italia che vive sempre più assediata da paure vere e presunte. Ecco, in questo contesto, le aziende della vigilanza privata rivendicano: «Abbiamo un ruolo centrale nel sistema di sicurezza di questo Paese».

Il business

Si parte dal numero di imprese, in Italia sono 965. Quasi la metà delle aziende è nata dopo il 2001, quando l’attacco alle Torri Gemelle ha gonfiato la domanda di controllo e sicurezza. I dati sono contenuti nel primo Rapporto sulla vigilanza privata presentato ieri da Federsicurezza, la federazione del settore che aderisce a Confcommercio. La sicurezza privata si divide in gran parte tra piantonamenti (48 per cento del fatturato), vigilanza (30%) e trasporto valori (18). Gli allarmi collegati con le centrali degli istituti sono 600 mila. E la stima più accreditata parla di unmilione e 200 mila clienti. Anche qui, i numeri rivelano qualcosa di interessante: se la maggior parte dei cittadini si lamenta per la poca sicurezza, quelli che poi si rivolgono agli istituti di vigilanza sono un numero limitato (appena il 5 per cento del fatturato viene dalla sorveglianza di case e ville).

Le dichiarazioni di Giuseppe Alviti

«Le forze dell’ordine giustamente si concentrano sulle zone da allarme rosso — spiega Giuseppe Alviti, presidente dell’ Associazione nazionale guardie giurate — e lasciano a noi l’allarme “arancione”, dagli aeroporti alle metropolitane. Siamo essenziali e complementari per la sicurezza del paese. E ora il nostro ruolo va riconosciuto con un aggiornamento delle regole».

Il decreto regio del 1931

Sebbene possa sembrare assurdo, ancora oggi il lavoro delle guardie giurate è regolamentato da un decreto regio del 1931. Decine di migliaia di uomini che escono con una pistola e indossano giubbotti antiproiettile sono inquadrati come operai generici. Il 13 dicembre dell’anno scorso è arrivata una condanna dell’unione europea. Da quel momento l’Italia ha elaborato nuove regole, che aspettano però la ratifica da parte del governo. Innanzitutto, le guardie diventano «incaricati di pubblico servizio». Secondo: fino a oggi, ogni istituto doveva essere autorizzato dal prefetto e poteva lavorare solo nella povincia per la quale aveva ricevuto l’autorizzazione (sistema bocciato dalla Ue come ostacolo alla libera impresa). Con la nuova legge, questi vincoli dovrebbero essere aboliti.

«Faccio un appello accorato alla politica — dice Matteo Balestrero, presidente Assiv, associazione di 160 istituti di vigilanza che aderisce a Confindustria —. Senza un quadro di regole certe, non ci può essere sviluppo. Il rischio è che rimanga tutto ingessato per le aziende serie e si favorisca chi è più “disinvolto”, con forme di concorrenza al limite della legalità». Sotto il boom apparente, si nascondono pesanti ombre: il 47 per cento delle imprese ha chiuso lo scorso anno con il bilancio in rosso.

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