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Dispersione scolastica, i progetti per “togliere i ragazzi dalla strada”

NAPOLI. Per una discussione sull’esperienza che si sta svolgendo nell’ambito dei progetti sulla dispersione scolastica, oggi la commissione Scuola ha incontrato i soggetti capofila delle quattro reti territoriali che,  in tutta la città, stanno portando lavorando per prevenire e  contrastare la dispersione e il disagio scolastico. Al centro della  discussione di oggi, il racconto dell’esperienza nei vari territori e  i nodi problematici che questo lavoro ha fatto emergere; a fine mese,  il report con i numeri, i risultati e la valutazione dell’intero  progetto, ha annunciato Andrea Mormiroli dello staff dell’assessora  Palmieri, un report costruito sulla base del monitoraggio delle  iniziative portate avanti nelle 40 scuole in cui è in corso la  sperimentazione.

Dispersione scolastica a Napoli, i progetti in commissione

Un importante lavoro, svolto con metodologia innovativa, per prevenire e contrastare la piaga della dispersione scolastica, un lavoro dal  quale emergono, per il presidente di commissione Felaco, anche  indicazioni precise sugli aspetti che richiedono di intensificare gli  interventi, ad esempio, il nodo dei rapporti spesso critici tra le  famiglie e la scuola che vive un momento difficile a causa della  sfiducia nel suo ruolo istituzionale e nelle proprie possibilità.
È già possibile un bilancio dei tre anni di lavoro fatto sulla  dispersione scolastica, per Andrea Mormiroli, dello staff  dell’assessorato all’Istruzione, al di là della valutazione vera e  propria che emergerà dal monitoraggio compiuto nel mese di maggio. La  sperimentazione portata avanti, a Napoli, in un rapporto di  collaborazione tra i servizi della scuola e quelli del welfare, ha  confermato la positività del metodo della coprogettazione degli  interventi che ha coinvolto fin dall’inizio di tutti i soggetti, cioè  le scuole, i centri di servizi sociali territoriali, il privato  sociale; è cresciuta la consapevolezza che, per prevenire la  dispersione e il disagio scolastico, tutti gli attori del territorio  devono collaborare. Anche l’indicazione di privilegiare laboratori in  orario curricolare ha garantito un migliore rapporto tra Terzo Settore  e insegnanti. In tutte le realtà, prevalente è stato il lavoro in  aula, quello che permette di individuare i cosiddetti “segnali deboli”  di un possibile abbandono della scuola; accanto a questo, la presa in  carico dei casi individuali, ma sempre avendo a riferimento la classe,  infine, il coinvolgimento delle famiglie, con un lavoro difficile di  ricucitura del rapporto tra alunni, scuola, famiglie.
Tutti questi temi sono emersi anche dall’esposizione che i soggetti  capofila delle quattro reti territoriali hanno fatto, rispondendo  anche alle domande dei consiglieri intervenuti, in particolare Cecere  e Bismuto (di Dema). Per Nicola Laieta dell’associazione ?Maestri di  strada?, capofila della rete che opera nella IV e VI Municipalità (con  il coinvolgimento di 35 classi di 14 istituti, per un totale di 500  alunni coinvolti), decisivo è il lavoro individuale: 70 i ragazzi  seguiti da educatori/psicologi in un percorso che non mira solo al  recupero scolastico ma che punta a ricostruire progettualità di vita e  relazioni umane in realtà molto difficili; proprio il lavoro di  coprogettazione ha fatto emergere anche il bisogno degli insegnanti di  spazi di ascolto, che attualmente mancano nel sistema scolastico, per  rimodulare l’intervento formativo. Il difficile rapporto tra famiglie  e scuola è emerso nell’esperienza raccontata da Francesca D’Onofrio  della cooperativa ?Orsa Maggiore?, capofila della rete che opera nella  Zona Occidentale e che coinvolge 6 scuole e oltre 400 alunni dai 6 ai  16 anni: qui sono state privilegiate le attività curricolari nei  gruppi classe, con oltre 30 laboratori; un gruppo/interclasse ha  lavorato invece all’accompagnamento dei ragazzi all’esame di terza  media, mentre è stato molto apprezzato dagli insegnanti un laboratorio  con il quale gli educatori li hanno sostenuti nelle situazioni  difficili, spesso molto diffuse, mentre è sottodimensionato il numero  dei ragazzi che avrebbero bisogno di sostegno scolastico. Su questo  aspetto Giovanni Laino, dell’associazione Quartieri Spagnoli, capofila  di quattro Municipalità del centro cittadino, ha messo in evidenza  che, in Europa, l’Italia rappresenta un buon esempio sul piano del  riconoscimento delle disabilità a scuola; ma molti sono i problemi che  mettono in mostra la crisi della “comunità educativa”, ad esempio, la  tendenza, anche in quartieri popolari, a dar vita a classi e/o plessi  ghetto; un’attenzione adeguata, e un intervento nazionale, servirebbe  per affrontare una vera e propria bomba sociale pronta ad esplodere,  quella del gran numero di “NEET”, di giovani che non studiano e che  non lavorano, per i quali occorrerebbero strategie innovative  nell’offerta formativa e nell’intervento sociale. Vanacore, della  cooperativa “L’uomo e il Legno” che opera nella VII e VIII  Municipalità, su 9 scuole e circa 300 ragazzi, ha anche lui messo in  evidenza il problema della selezione sociale che sta alla base delle  scuole ghetto, un problema che esiste anche in quartieri dove ci sono  scuole di eccellenza; l’approccio nelle Municipalità della Zona Nord  ha puntato sull’integrazione tra cultura e tecnologia, con laboratori  di fotografia e video che hanno anche portato i ragazzi ad uscire dal  quartiere, per la prima volta diretti ad un museo, come è avvenuto nel  laboratorio fatto in collaborazione con il Museo archeologico  nazionale, esperienza raccontata da Caiazzo, della cooperativa “L’uomo  e il legno”.

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