Cronaca

Nisida, due minori provocano incendio nel carcere: intossicati

A dare la notizia è Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo polizia penitenziaria

Due minori provocano un incendio nel carcere di Nisida.  A dare la notizia è Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, che racconta quanto avvenuto ieri nel carcere minorile.

Napoli, incendio nel carcere di Nisida

L’Ipm di Nisida è stato messo nuovamente a ferro e fuoco. Due detenuti stranieri hanno appiccato il fuoco in una cella del II reparto, mettendo a serio rischio l’incolumità del personale di polizia penitenziaria che, tempestivamente intervenuto per tentare di spegnere l’incendio e mettere in salvo gli altri detenuti, sono stati anche aggrediti, tanto da dover ricorrere alle dovute cure mediche presso i presidi ospedalieri più vicini. Il tentativo di spegnere l’incendio messo in essere dal personale intervenuto sembrerebbe che sia andato vano a causa del mancato funzionamento degli idranti presenti in Istituto( cosa grave ed inspiegabile) , tanto è vero che poi sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco che sembrerebbe abbiano dichiarato inagibile il reparto coinvolto dall’incendio. È inammissibile che detenuti stranieri, con età superiore ai 18 anni, continuino a permanere nel circuito minorile, nonostante il mancato rispetto di ogni minima regola che gli viene imposta, così come è inammissibile che con la presenza di un utenza così problematica, nel carcere minorile di Nisida non vi sia un presidio medico notturno”.

Capece evidenzia che “un plauso va agli agenti di polizia penitenziaria intervenuto, che hanno gestito egregiamente l’evento critico evitando sempre che accadesse il peggio.
Da molto, troppo tempo arrivano segnali preoccupanti dall’universo penitenziario minorile. Abbiamo registrato e registriamo, infatti, con preoccupante frequenza e cadenza, il ripetersi di gravi eventi critici negli istituti penitenziari per minorenni d’Italia e di Nisida in particolare. È da sottolineare, infatti, che nell’ultimo periodo diversi detenuti delle carceri minorili provocano con strafottenza modi inurbani e arroganza i poliziotti penitenziari, creando sempre situazioni di grande tensione. Ed è per questo che ci stupiamo di chi “si meraviglia” se chiediamo una revisione della legge che consente la detenzione di ristretti adulti fino ai 25 anni di età nelle strutture per minori”.

“I vari Governi che si sono alternati negli anni”, denuncia il leader del Sappe, “attraverso l’amministrazione della giustizia minorile e di comunità ed il ministero della giustizia, anziché adottare provvedimenti che garantiscono ordine e sicurezza nelle carceri hanno dato corso ad una riforma penitenziaria che hanno minato proprio la natura stessa di pena e carcere, affidando il carcere ai detenuti e depotenziando anche il ruolo della polizia penitenziaria. E questo è grave e inaccettabile”.

Capece ricorda che “come primo sindacato della polizia penitenziaria abbiamo in più occasioni chiesto ai vertici del dipartimento della giustizia minorile e di comunità che le politiche di gestione e di trattamento siano adeguate al cambiamento della popolazione detenuta minorile, che è sempre maggiormente caratterizzata da profili criminali di rilievo già dai 15/16 anni di età e contestualmente da adulti fino a 25 anni che continuano ad essere ristretti.

La realtà detentiva minorile italiana, come denuncia sistematicamente il Sappe, è più complessa e problematica di quello che si immagina: per questo si dovrebbe ricondurre la giustizia minorile e di comunità nell’ambito del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria piuttosto che mantenerla come dipartimento a sé”.

Per Capece, infatti, “a questo hanno portato questi anni di ipergarantismo nelle carceri, dove ai detenuti è stato praticamente permesso di auto gestirsi con provvedimenti scellerati ‘a pioggia’ come la vigilanza dinamica e il regime aperto, con detenuti fuori dalle celle pressoché tutto il giorno a non fare nulla nei corridoi delle Sezioni. E queste sono anche le conseguenze di una politica penitenziaria che invece di punire, sia sotto il profilo disciplinare che penale, i detenuti violenti, non assumono severi provvedimenti. Ormai picchiare un poliziotto in carcere senza subìre alcuna conseguenza è diventato quasi uno sport nazionale, nella indifferenza della politica e dei vertici dell’amministrazione Penitenziaria”.

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