Cronaca

Frank Matano ricorda Francesco Pio Maimone: la dedica al 18enne ucciso a Napoli

Frank Matano ha affidato ai sui profili social un toccante post in ricordo di Francesco Pio Maimone, il 18enne ucciso con un colpo di pistola a Napoli. Il famoso comico nella lettera-denuncia racconta della sua infanzia e della sua adolescenza passata tra i quartieri di Caserta. Ricorda del suo primo incontro con la camorra e rivolge un pensiero a Francesco Pio, e a tutti quei ragazzi che cercano ogni giorni di guadagnarsi il loro posto nel mondo senza “imporsi con la violenza”.

Frank Matano e il post in ricordo di Francesco Pio Maimone

Matano, ha sentito l’esigenza di scrivere questa lettera a seguito della tragica morte del 18enne Francesco Pio. Il ragazzo è stato ucciso da un suo coetaneo al culmine a Mergellina. Il suo assassino, un 20enne, avrebbe iniziato a sparare sulla folla perché qualcuno gli aveva sportato le scarpe nuove. Per una macchia su una scarpa bianca, Francesco ha pagato con la vita, lui che non c’entrava neanche nulla con quanto era successo.

La morte di Francesco Pio, ha scosso l’intera comunità, i suoi sogni sono andati in frantumi in un solo secondo, perché un 20enne ha sparato ad altezza uomo per dimostrare che la pistola che impugnava fosse vera. Come afferma Matano “questi ragazzi sono cresciuti pensando di essere invisibili, pensando che l’unica cosa che si possa possedere sia l’onore”. Ed è proprio per questo che il 20enne ha sparato, perché chi aveva “macchiato” il suo onore doveva pagare.

La lettera di Frank Matano

“Sono nato e cresciuto nella provincia di Caserta. Più di una volta ho assistito o vissuto in prima persona alla malevolenza gratuita di determinati ragazzi che hanno vissuto in determinate situazioni che li hanno portati ad essere in un determinato modo e questo ghirigoro inutile di parole si chiama camorra. Lo Stato ha scelto di lasciare migliaia di ragazzi a loro stessi. Educati da persone che nella vita non hanno avuto la possibilità di autodeterminarsi, questi ragazzi sono cresciuti pensando di essere invisibili, pensando che l’unica cosa che si possa possedere sia l’onore. Non c’è altro.

E se nessuno ti ha insegnato ad aprire la propria coscienza a te stesso, l’unico modo che hai di essere rispettato è la violenza. È una dinamica sociale fatta di potere applicato in poco meno di 20 km quadrati. Oltre il proprio paese non c’è altro. C’è un muro e ogni mattone di questo muro invalicabile è fatto di un pezzo della propria inadeguatezza. Ho fatto le superiori a Sessa Aurunca. Prendevo il pullman da Carinola fino a Sessa ogni mattina. Quasi ogni mattina cercavo di non incontrare un ragazzo che non era un camorrista ma voleva esserlo. Era amico di ‘figli di’ ma doveva dimostrare qualcosa di più al suo gruppo perché nelle sue vene scorreva sangue anonimo, insopportabile per un anonimo. Nessuno dà il giusto valore alla propria anonimia fin quando non la perde completamente, uccidendo qualcuno per esempio. La quiete di non essere nessuno turba dolorosamente i nostri cuori soprattutto in questo mondo di porno-ego.

Questo mio coetaneo aveva scelto da maturo quindicenne di imporsi sugli altri. Quando scendevo dal pullman ci fermavamo mezzoretta in villa a Sessa prima di entrare in classe (2004). Ho fatto il linguistico. I miei compagni di classe con cui era in villa prima di entrare ogni mattina erano poco meno di dieci donne. Ho vissuto il matriarcato nella mia adolescenza. Ero al linguistico. Dicevo. Stavo nel mio gruppetto, in villa. Questo ragazzo mi si avvicina e mi chiama ‘o suggettò’ che vuol dire ‘soggettone’ che vuole dire ‘tu che non ti imponi con la forza qui avrai problemi’. Non risposi alle provocazioni. Si avvicina sempre di più, siamo faccia a faccia, mi minaccia senza motivo, senza motivo, nessun motivo, zero motivi, non un motivo. Mi dà una testata secca sulla bocca. Così a caso. Senza motivo. Nessun motivo. Zero motivi. Non un motivo. Per ridere. Per fare la camorra. Era la sua personalissima fellatio ai cattivi.

Mi mortifica. Non dico niente. E mi porto il non dire niente per tutto l’anno scolastico. Mi porto il non dire niente fino a domani. Non dire niente è un altro modo di morire, non dire niente per non morire di fronte a un bar con un vodka lemon annacquato in mano. Non reagire a una umiliazione, non rispondere alla violenza richiede una perversa autocommiserazione e non si capisce dove finisce quella e dove inizia l’istinto di sopravvivenza. Questo messaggio è diretto ai ragazzi che vogliono imporre se stessi con la violenza. Non c’è nulla che vi fermerà. Neanche un morto. Neanche mille, di cui già non sappiamo più nulla. Fra un mese Francesco Pio sarà uno di quelli. Niente di più. E chi l’ha ucciso sarà uno di quello. Niente di più. Nessuno protagonista. Torna l’anonimia. Resta il nulla. Resta il contrario della speranza. Restano solo dei ragazzi a cui non è permesso di vivere dignitosamente. Riposa in pace Francesco Pio. Riposa in pace fratello mio campano”.

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