Cronaca

Rocco Hunt: “Mi proposero di scrivere l’inno del Napoli, ma non accettai”

Rocco Hunt si è raccontato in un’intervista al Corriere della Sera: dal primo lavoro come pescivendolo a Salerno a quando gli proposero di scrivere l’inno del Napoli. Il rapper ha raccontato della sua infanzia e ha ricordato la sua prima esperienza sul palco di Sanremo. Poi ha menzionato i tanti amici, e raccontato della sua famiglia e di suo figlio, Giovanni.

Il passato da pescivendolo a Salerno

Rocco Pagliarulo, al Corriere ha ricordato il suo primo lavoro come pescivendolo a Salerno. “Mi svegliavo anche alle quattro di mattina, se c’era il mercato. E quando uscivo incontravo i miei amici che tornavano dalla discoteca, che invidia. Ma con quei soldi mi sono prodotto il primo video, che in un mese ha fatto 40 mila visualizzazioni su YouTube e alla fine mi ha chiamato la Sony”.

Se si guarda indietro sa di essere stato fortunato “Tanti amici hanno preso una direzione sbagliata e hanno pagato con il carcere o con la vita. La strada avrebbe potuto inghiottire anche me, è stata dura, ma le difficoltà mi hanno dato forza, una marcia in più. La nostra era una famiglia umile ma pulita, di lavoratori. Mi ha salvato”.

Rocco Hunt: “Mi proposero di scrivere l’inno del Napoli”

Quando gli venne proposto di scrivere l’inno del Napoli, non se la sentì di accettare questa sfida: “Sarebbe stato un grandissimo onore ma era più giusto che lo facesse un napoletano doc, che se lo sente sulla pelle”.

Nella musica ha tanti amici: da Clementino e Gigi d’Alessio ma anche Jovanotti, fino a Geolier il fenomeno del momento. Ma una volta che smette di suonare, di cantare, Rocco torna a casa dalla sua famiglia.

La famiglia

Rocco, racconta ancora nell’intervista della sua famiglia. “Con Ada siamo amici dall’adolescenza, da quando lavoravo in pescheria. Siamo sposati da 6 anni, oddio no, da 7, se mi sente mi ammazza”. Come tutte le donne si è fatta desiderare, le sono stato appresso per due o tre anni. Poi, quando cominciava a cedere, mi sono fatto desiderare io. Ma ho resistito due mesi”.

Un amore che lo ha fatto diventare padre a 23 anni. Ed è felice di questo. “Sono fortunato. Giovanni detto Giò Giò a sei anni è un bambino sensibile, educato, per niente viziato, frequenta una scuola internazionale a Milano”. Deve solo imparare una cosa: “Non deve spoilerare le mie canzoni in classe. Lui è il mio primo tester…”.

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