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Federico Salvatore, il significato della canzone Se io fossi San Gennaro

Se io fossi San Gennaro è sicuramente uno dei brani più celebri di Federico Salvatore, apprezzato cantautore napoletano morto all’età di 63 anni nella mattina di mercoledì 19 aprile 2023. Nell’ottobre del 2021 fu colpito da una emorragia cerebrale che lo ha costretto al ricovero in ospedale e poi ad una riabilitazione. Ma qual è il significato di Se io fossi San Gennaro, canzone nota quanto profonda del canzoniere e cabarettista napoletano Federico Salvatore?

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Non solo canzoni ironiche e fuori dalle righe: nel 2009, nell’album “Fare il napoletano… stanca” Federico Salvatore pubblica il brano Se io fossi San Gennaro. Si tratta di una delle canzoni più celebre del cantautore napoletano morto all’età di 63 anni il 19 aprile 2023.

Una canzone di denuncia, nella quale Federico Salvatore evidenzia tutti i problemi di Napoli, dalla speculazione edilizia (tutt’altro che velato il riferimento al Centro Direzionale) alla malsana gestione da parte della politica. Nella canzone, Salvatore propone una soluzione drastica, un’eruzione del Vesuvio, per “risolvere il problema”. Una provocazione seguita dai nomi che hanno portato Napoli nella gloria, da Benedetto Croce a Massimo Troisi.

Il testo completo di Se io fossi San Gennaro di Federico Salvatore

Se io fossi san Gennaro non sarei così leggero
Con i miei napoletani io m’incazzerei davvero
Come l’oste fa i conti dopo tanto fallimento
Senza troppi complimenti sarei cinico e violento
Vorrei dire al costruttore del centro direzionale
Che ci può solo pisciare perché ha fatto un orinale
Grattacieli di dolore un infarto nella storia
Forse è solo un costruttore che ha perduto la memoria
Nei meandri dei quartieri di madonne e di sirene
Paraboliche ed antenne sono aghi nelle vene
E nei vicoli dei chiostri di pastori e vecchi santi
Le finestre anodizzate sono schiaffi ai monumenti
È come sputare in faccia ai D’angiò, agli Aragona
Cancellare via le tracce di una Napoli padrona
È lo sforzo di cagare dell’ignobile pappone
Sulle perle date ai porci da Don Carlo di Borbone
È perciò che mi accaloro coi politici nascosti
Perché solamente loro sono i veri camorristi
A cui Napoli da sempre ha pagato la tangente
E qualcuno l’ha incassata con il sangue della gente
E per certi culi grossi il traguardo è la poltrona
E per noi poveri fessi basta solo un Maradona
E il miracolo richiesto di quel sangue rosso chiaro
Lo sa solo Gesù Cristo che quel sangue è sangue amaro
Lo sa il Cristo ch’è velato di vergogna e di mistero
Da quel nobile alchimista principe di Sansevero
E con lui lo sa Virgilio il sincero Sannazzaro
Giambattista della Porta che il colpevole è il denaro
E nessuno dice basta per il culto della festa
E di Napoli che resta sotto gli occhi del turista
Via i vecchi marciapiedi che hanno raccontato molto
Pietre laviche e lastroni seppelliamoli d’asfalto
L’appalto
Ma non posso piu’ accettare l’etichetta provinciale
E una Napoli che ruba in ogni telegiornale
Di una Napoli che puzza di ragù, di malavita
Di spaghetti cocaina e di pizza margherita
Di una Napoli abusiva paradiso artificiale
Con il sogno ricorrente di fuggire e di emigrare
E di un popolo che a scuola ha creato nuovi corsi
E la cattedra che insegna qual è l’arte di arrangiarsi
Io non posso piu’ accettare l’etichetta di terrone
E il proverbio che ogni figlio è nu bello scarrafone
E mi rode che Forcella è la kasba del furbone
Che ti scambia con il pacco uno stereo col mattone
Se io fossi San Gennaro giuro che vomiterei
La mia rabbia dal Vesuvio, farei peggio di Pompei
E poiché c’ho preso gusto con la scusa del santone
Io ritengo che sia giusto fare pure qualche nome
Chiederei a Pino Daniele che fine ha fatto terra mia
Siamo lazzari felici quanno chiove ‘a pecundria
Napule è ‘na carta sporca Napule è mille paure
Ma pe’ chhiste viche nire so’ passate ‘sti ccriature
Da Pontano a Paisiello Giulio, Cesare Cortese
Da Basile a Totonno Petito fino a Benedetto Croce
Da Di Giacomo a Viviani poi Caruso coi Parisi
Da Totò ai De Filippo fino a Massimo Troisi
C’è passato Genovesi e Leopardi con orgoglio
La romantica Matilde e il mattino di Scarfoglio
Filangieri Cardarelli tutto l’oro di Marotta
C’è passata la madonna che ora vedi a Piedigrotta
Un Luciano De Crescenzo, Bellavista di Milano
E Sofia che da Pozzuoli oggi parla americano
Un Roberto De Simone che le ha preso pure il cuore
Ora cerca di sfruttarala Federico Salvatore
Ma non posso tollerare chi si arroga poi il diritto
Di cambiare e trasformare tutto ciò che è stato fatto
Di chi vuol tagliar la corda con la vecchia tradizione
Di chi ha messo nella merda la cultura e la canzone
Io non posso sopportare che un signore nato a Foggia
Porta Napoli nel mondo e la stampa lo incoraggia
E che il critico ha concesso al neomelodico l’evento
Di buttare in fondo al cesso Napoli del novecento
Perché ancora io ci credo e mi incazzo ve lo giuro
Che Posillipo e Toledo li divide un vecchio muro
Come quello di Berlino che ci spacca in due metà
Uno è figlio ‘e bucchino l’altro è figlio di papà
Se io fossi San Gennaro giuro che mi vestirei
Pulcinella, Che Guevara e dal cielo scenderei
Per gridare alla mia gente tutto ciò che mi fa male
E finire da innocente pure io a Poggioreale
Perché come Gennarino sono vecchio in fondo al cuore
E il mio canto cittadino non farà certo rumore
Io ho capito che la vita è solo un viaggio di ritorno
Che domani è già finito e che ieri è un nuovo giorno
Sembra un gioco di parole ma mi sento più sicuro
Coi progetti del passato e i ricordi del futuro
E alla fine del mio viaggio chiedo a Napoli perdono
Se ho cercato con coraggio di restare come sono

Paolo Siotto

Giornalista pubblicista dal 2015, collabora per l'Occhio da giugno 2019 dopo diverse esperienze con testate locali. È responsabile della redazione centrale del network giornalistico L'Occhio.

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