Cronaca

EDITORIALE / Forza Nuova, CasaPound e altre cose: non ci allarmiamo (?)

NAPOLI. Il fascismo fu un fenomeno unico, circoscritto nel tempo, nello spazio e in una data situazione sociale. Il fascismo, al di là della distinzione tra movimento e regime, non si verificherà più sotto la stessa forma in cui dominò in Italia durante il Ventennio, per dirla con Renzo De Felice.

Si può essere d’accordo o meno con questa visione ben studiata di un fenomeno che continua ad interessare generazioni di studiosi e non solo. Intanto, irripetibile o no, una ventata di aria nostalgica è bastata per rispolverare con un solo soffio bandiere che, almeno negli ultimi decenni, sembravano destinate a riposare in musei che solo in pochi avevano interesse a visitare.

Da pochi anni a questa parte, però, qualcosa è cambiato. Gli episodi che denotano nostalgie sempre più esplicite ed urlate a testa alta stanno aumentando. E questo è sotto gli occhi di tutti. Il blitz – o comunque lo si desideri chiamare – di quei pochi militanti di Forza Nuova fuori la sede di Repubblica Napoli è soltanto l’ultimo di una serie di eventi che si stanno susseguendo con una frequenza fino a pochi anni fa inimmaginabile. Ma noi, puntualmente, non ci allarmiamo. Guardiamo, commentiamo, ci indigniamo un po’, ma poi andiamo avanti (o meglio, indietro).

Nel giro di un mese si contano più di cinque episodi che coinvolgono partiti o movimenti neofascisti o che comunque rispolverano simboli e ideologie che richiamano al nazifascismo. Episodi, tra l’altro, anche ben distribuiti su tutto il territorio nazionale, da nord a sud.

 

Testata “libera tutti”

 

 

Che venti nostalgici non abbiano mai abbandonato l’Italia (e il mondo) è chiaro da sempre. L’ondata di populismo è spesso denunciata dai media mainstream ed è tra l’altro uno dei temi che ha portato i militanti di Forza Nuova a puntare il dito contro Repubblica e contro quella che loro definiscono “informazione di regime”.

Tuttavia, che bastasse una folle testata per sciogliere i cani, come si suol dire, in pochi se lo sarebbero aspettati. L’ormai celebre aggressione di Roberto Spada al giornalista Rai Daniele Piervincenzi dell’8 novembre scorso già fa parte della storia antica. Almeno se la accostiamo a quanto successo in questi giorni che ci avvicinano al Natale. Tumulti, tensioni, feriti e boicottaggi: una sorta di calendario dell’avvento che prepara gli italiani alla nascita del Bambino (e delle elezioni).

 

 

La vicenda di CasaPound a Ostia ha acceso per qualche settimana i riflettori sull’immenso quartiere romano, strangolato dalla mafia e da strade di pasoliniana memoria (o almeno così racconta la “stampa di regime”, obietterebbe qualche nostalgico). Tempo un mese e bisogna già spostarsi a Como, dove un gruppo di skinhead (o naziskini, se nessuno si offende) fa irruzione nella sede di un’associazione che aiuta i migranti per recitare una poesia anti-migranti. Ma «sono solo quattro ragazzi», commenta qualcuno all’indomani della sceneggiata: il problema sono proprio i migranti e, si sa, l’invasione vera è un’altra (sic).

Ma il Natale si avvicina e l’8 dicembre bisogna preparare gli addobbi. Neanche il tempo di (non) commentare l’azione dei naziskini che il giorno dedicato all’Immacolata diventa il giorno di Forza Nuova. Messi in ombra da CasaPound e skinhead, i militanti di quest’altra faccia dell’ultradestra decidono di fare le cose in grande. Nella notte lo striscione contro l’informazione di regime a Napoli; dopo qualche ora la rissa con i sindacati e gli studenti a Forlì. E il sorpasso sulla corsia di destra è già servito. Negli stessi giorni in una caserma di Firenze qualcuno espone nel proprio ufficio una bandiera del II Reich. Ma attenzione anche qui: guai a dire che si tratta di un simbolo nazista, è il II Reich, non c’entra nulla con Hitler, fanno notare i precisi difensori del gesto nonché detrattori dell’ “informazione di regime”. Peccato che la precisione venga meno quando gli stessi paladini della giusta e corretta informazione evitano di raccontare quanto quella bandiera e quei simboli siano stati utilizzati da molti gruppi neonazisti in tutto il mondo, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale a oggi.

 

Scatta l’allarme?

 

In realtà la mobilitazione non manca. Il sit-in dei giornalisti a Ostia dopo l’aggressione violentissima di Spada, la manifestazione antifascista a Como al coro di “Bella Ciao”, il corteo previsto per lunedì 11 dicembre a Roma in risposta all’attacco contro la redazione di Repubblica Napoli.

Ma se il fascismo è un fenomeno circoscritto nel tempo, nello spazio e in una precisa situazione sociale, altrettanto si può dire della Resistenza. Il moto d’orgoglio di una parte della popolazione non manca, soprattutto se chiamata direttamente in causa dalle azioni dei neofascisti.

Tuttavia, nonostante i cinguettii e la solidarietà di rito, una mancanza si fa sentire. C’è chi la nota e preferirebbe non farlo, e c’è chi la nota e la fa notare. Oltre alle già citate parole di Salvini sui fatti di Como, gran parte della politica italiana, ad ogni notizia di questo tipo, puntualmente, “s’indigna, s’impegna, poi getta la spugna con gran dignità”.

E forse è proprio qui la differenza sostanziale con i decenni appena trascorsi, i più recenti almeno. Se quelle bandiere sempre più nere non sono più riposte solo in musei sotterranei dallo scarso fascino è perché il dibattito pubblico è andato man mano a toccare livelli sempre più bassi. Si concentrano sempre più energie per discutere di migranti (spesso senza buon senso e con informazioni confuse) e non di temi che riguardano molto da vicino ogni fascia sociale della popolazione, a prescindere da età, sesso e posizione lavorativa (per chi ce l’ha).

Quindi la Lega Nord può pensare di togliere la parola che la contraddistingue dal nome del partito per accumulare voti anche in parti dell’Italia che Salvini e compagni forse non avevano visto neanche in cartolina prima d’ora. Quindi cambiano i termini utilizzati, le espressioni, i simboli. Giorgia Meloni, sempre in queste settimane d’avvento nostalgico, sceglie di uscire ancor di più allo scoperto perché può, le circostanze lo consentono, e presenta il nuovo simbolo del suo partito, Fratelli d’Italia. Dall’azzurro che l’aveva accompagnato fin dalla nascita, e che comunque rimanda ad un orientamento più moderato e liberale in stile Forza Italia, al nero con la fiamma tricolore più evidente che mai. Ma questi sono solo simboli. Non ci allarmiamo.

 

 

Di preciso, quando possa scattare l’allarme non si sa. Anche perché a suonarlo non c’è nessuno. Basti pensare che una delle campagne stilisticamente più riuscite del Partito Demoratico degli ultimi tempi è anche quella più emblematica. L’accumulo di eventi dai contorni neofascisti, culminanti nel gesto di Forza Nuova a Napoli, spinge il partito di governo a riscoprire vecchi istinti. Ma non troppo, perché – al contrario di quanto stiano avvertendo Meloni e compagni – non è più il momento né il luogo di imbracciare certe bandiere ormai buone, quelle sì, solo per i musei.

Allora ecco che nella locandina della campagna antifascista i democratici “urlano” a caratteri cubitali: «Ed ecco il fiore». Sì, e poi? Io ricordo che subito dopo ci fosse dell’altro in quella canzone timidamente citata. Forse è tutta una questione di tempi che corrono e cicli che si susseguono. O forse non bisogna mai allarmarsi per niente. Tuttavia, è probabile che anche in queste piccole scelte di stile e comunicazione si possa leggere tanto dell’attuale situazione del Paese.

 

 

L’Italia è abituata da sempre a dividersi. Su tutto. Napoletani e padani, guelfi e ghibellini, fascisti e partigiani. In quest’ultimo caso, credo sia innegabile la tendenza attuale: chi ritiene, magari anche con un po’ di incoscienza, di appartenere alla prima fazione non ha più alcuna remora a confessarlo, anzi gli fa piacere urlarlo in faccia al primo che capita. Chi si ritiene, forse un po’ presuntuosamente, appartenente alla seconda schiera, sta iniziando un po’ ad indietreggiare, a cedere il passo. Il ceto medio, che in larga parte credeva tanto nel mito della massa e della piazza, ha paura, è arrabbiato, stanco e straziato.

La storia non si ripete, non in maniera identica. Il fascismo è un fenomeno circoscritto nel tempo (anni Venti, Trenta e Quaranta del Novecento), nello spazio (Italia ed Europa occidentale) e legato ad una classe sociale in particolare (il ceto medio). La storia non si ripeterà, certo. Intanto, due elementi su tre sono già nel calderone. Eppure, non ci allarmiamo.

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