Cronaca

Napoli, ottocento giorni in carcere per un omicidio mai commesso: maxi risarcimento per un imprenditore

Napoli, trascorre ottocento giorni in carcere per un omicidio mai commesso: scatta il maxi risarcimento per un imprenditore vesuviano

Napoli, trascorre ottocento giorni in carcere per un omicidio mai commesso: scatta il maxi risarcimento per un imprenditore vesuviano, finito in cella come presunto assassino, condannato in primo grado a trent’anni di reclusione, per poi essere assolto in Corte di Assise d’appello.

In carcere da innocente: scatta il maxi-risarcimento

Cadute le accuse nel corso del processo di secondo grado, l’imprenditore ha ottenuto anche un risarcimento per ingiusta detenzione. È stata la ottava sezione di Corte di appello del Tribunale di Napoli, presidente Maurizio Stanziola, a disporre il pagamento di 188.656 euro per il periodo di tempo trascorso in cella, per il contraccolpo psicologico subito da arresti non dovuti, per i danni inevitabili sotto il profilo privato e professionale.

La vicenda

Tutto ha avuto inizio dopo l’omicidio di stampo camorristico di Luigi Borzacchiello, consumato ad Afragola il 9 dicembre del 2006. Sei anni dopo, siamo nel 2012, scattano le manette per i presunti concorrenti: tra questi c’è un imprenditore che vive in un comune vesuviano. Ha legami di parentela con alcuni soggetti ritenuti coinvolti con il delitto, finisce al centro delle indagini sulla scorta di due potenziali fonti di prova: le parole del collaboratore di giustizia Pasquale Di Fiore, che inquadra il delitto, mette a fuoco lo scenario nel quale si consuma; e una intercettazione ambientale, che consente di ricostruire il dialogo a più voci tra i presunti responsabili dell’agguato.

Parole che si sovrappongono tra gli uomini che stanno organizzando la spedizione di morte, che decidono chi e in che modo dovrà premere il grilletto, come dovrà avvenire l’appostamento e la fuga. Parole che vengono analizzate dal giudice per le indagini preliminari che non ha alcun dubbio, nell’accogliere la richiesta di arresto dei pm: anno 2012, tra i nomi che finiscono in cella c’è anche un parente dei principali indiziati del delitto. È ritenuto un concorrente.

In aula arrivano le condanne per i presunti killer, ma anche per un imprenditore che – come si dimostrerà in seguito – non aveva alcuna responsabilità in questa storia.
Primo grado, arriva la condanna a trent’anni di reclusione, con tanto di risarcimento alla Provincia per i danni all’immagine arrecati dall’episodio criminale. Poi si va in appello, si apre il confronto su atti e elementi di prova. A questo punto diventa decisivo il lavoro della penalista Marianna Febbraio, che riesce a scardinare la prova centrale, quella perizia fonica decisiva nella condanna di primo grado, oltre a mettere in risalto le contraddizioni dei pentiti. Si riapre così il processo.

Da una nuova valutazione dell’ambientale agli atti, emerge la confusione delle voci e la impossibilità di ricondurre anche solo una frase intercettata all’imprenditore condannato per omicidio. Cade il castello accusatorio, mentre le dichiarazioni di accusa dei pentiti si annullano in modo vicendevole. Cambia il quadro, si arriva all’assoluzione che diventa definitiva. Fine dell’incubo, con gli stessi giudici che – in motivazione – diradano ogni dubbio sulla condotta dell’imputato scagionato.

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