Cronaca

Camorra a Napoli: indagati i genitori del baby boss Sibillo

I genitori di Emanuele Sibillo sono sono indagati per violenza privata ed estorsione aggravati dall’agevolazione e dal metodo mafioso

I genitori di Emanuele Sibillo, il baby boss di camorra ucciso in un agguato nel 2015, sono indagati dalla Dda per estorsione e violenza privata aggravati dall’agevolazione e dal metodo mafioso in concorso. Il procedimento ruota intorno all’altarino con le ceneri del baby boss, rimosso ad aprile. Per gli inquirenti l’altarino rappresentava un “elemento di identificazione e rafforzamento del gruppo criminale nonché luogo di commissione di reati“. Vincenzo Sibillo, 55 anni, è difeso dagli avvocati Rolando Iorio del foro di Avellino e Dario Carmine Procentese del foro di Napoli, mentre la moglie, Anna Ingenito, 50 anni, è difesa dall’avvocato Iorio.

I genitori di Emanuele Sibillo indagati per camorra

I genitori di Emanuele Sibillo, scrive la Dda nell’avviso di conclusione delle indagini a carico di Vincenzo Sibillo e Anna Ingenito, in concorso tra loro e con altri da identificare, si erano appropriati di uno spazio condominiale del cortile, in parte già destinato dai residenti alla devozione di una immagine religiosa già collocata, e avevano “realizzato un manufatto in alluminio, chiuso a chiave ed a loro uso esclusivo, nel quale collocavano, all’interno di una teca, l’urna cineraria di Sibillo Emanuele, capo indiscusso del clan Sibillo, nonché un busto che lo raffigurava“.

In questo modo, continua la Dda, “costringevano i condomini e i proprietari degli immobili a subire la spoliazione del diritto di comproprietà e di uso della cappella votiva, peraltro illuminata a spese del condominio, nonché della concreta disponibilità dello spazio abusivamente occupato” traendone un ingiusto profitto, approfittando “delle condizioni di omertà, paura e assoggettamento ingenerati dalla loro nota appartenenza al clan Sibillo“.

Chi era il baby boss Emanuele Sibillo, Es17

Emanuele Sibillo è stato ucciso in un agguato nel 2015. Era a capo, insieme al fratello Pasquale, di un sottogruppo camorristico legato al clan Contini e quindi all’Alleanza di Secondigliano. In quel periodo era nel pieno la guerra di camorra contro i Buonerba, che erano invece emanazione del clan Mazzarella. Il 2 luglio 2015 fu colpito a morte in via Oronzio Costa; inutile la corsa al vicino Loreto Mare: al Pronto Soccorso arrivò già senza vita, ucciso da un’unica pallottola che lo aveva centrato alla schiena.

La sua morte aveva però definitivamente lanciato la mitizzazione: il ragazzo, 20 anni non ancora compiuti, in quel momento aveva smesso di essere Emanuele Sibillo e nell’agiografia di camorra era diventato ES17. Un simbolo, quasi un santo a cui votarsi e, soprattutto, a cui mostrare rispetto: una operazione di marketing in salsa camorristica che ha trasformato la vita bruciata di un ragazzo in una leggenda che si autoalimenta.

L’altarino del baby boss

In questo alone quasi mistico che circondava la figura del baby boss ucciso l’altarino aveva, per gli inquirenti, un ruolo fondamentale. Era stato costruito abusivamente in uno spazio sottratto agli altri condomini, le luci venivano alimentate a spese del condominio. C’era un busto, con le fattezze di Emanuele Sibillo, davanti al quale si doveva rendere omaggio. E, proprio come avviene per i santi, c’era anche la reliquia: in quel manufatto era stata posizionata l’urna con le ceneri.

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